La radice di rafano intatta non ha quasi nessun aroma. Quando invece viene tagliata grattugiata si attivano degli enzimi che scindono la sinigrina in isotiocianato di allile, la molecola responsabile del sapore piccante. Il rafano grattugiato deve essere utilizzato immediatamente o al massimo conservato in aceto. La polpa, una volta esposta all’aria o al calore, comincerà a perdere il suo gusto pungente, a scurire di colore e a diventare sgradevolmente amara nel tempo.
La radice del rafano ha un sapore dolce, leggermente piccante e soprattutto fortemente aromatico e balsamico (si avverte decisamente nelle vie respiratorie e causa lacrimazione). Il rafano è riconosciuto come prodotto agroalimentare tradizionale della Basilicata e, con il nome di cren o kren, del Veneto e del Trentino Alto-Adige.
Il rafano costituisce un ingrediente comune nella cucina tradizionale lucana, dove viene utilizzato per la preparazione della cosiddetta rafanata, in cui la radice grattugiata fresca è unita a formaggio pecorino e uova sbattute, per la preparazione di una frittata alta anche alcuni centimetri, pietanza tipica del periodo di Carnevale. Il rafano crudo è il condimento principe dello ‘Ndrupp’c, o “intoppo”, il ragù tipico della città di Potenza: viene grattugiato fresco, direttamente sul piatto di ragù appena preparato, in aggiunta al formaggio, e subito portato in tavola. Utilizzato in tal modo viene ironicamente definito dai Potentini “u tartuf’ d’i povr’ òmm” (trad. “il tartufo dei poveri”; letteralmente, “il tartufo dei poveri uomini”).
Nella cucina triestina, il rafano grattugiato fresco è usato come condimento essenziale per gli antipasti a base di prosciutto cotto in crosta di pane o di prosciutto cotto tipo “Praga” e sul bollito misto di carne, assieme alla senape.
Il rafano viene anche utilizzato per creare un surrogato del wasabi.
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